Ne abbiamo lette tante di storie orripilanti di questa guerra (ma anche dell’altra, che ancora si consuma ai margini dell’Europa). Ne abbiamo viste e sentite tante di azioni atroci nelle guerre passate, vicine e lontane, e negli stermini di cui ricordiamo ancora le storie, e i nomi dei luoghi a cui sono legati. Abbiamo bene impressi nella mente i filmati in bianco e nero dei lager nazisti, gli ammassi di corpi scheletrificati, e la domanda senza punto interrogativo di Primo Levi che dice “Se questo è un uomo”. Nel nostro immaginario dell’orrore – che si è arricchito di decapitazioni, auto e furgoni lanciati su folle festanti, bombe intelligenti o stupide, massacri di donne, uomini e bambini senza colpe individuali – sembra non manchi nulla, che la misura sia colma, e invece scopiamo che c’è sempre spazio per nuove ributtanti atrocità.
Nell’ampio inventario recente, ce ne è una che da qualche giorno mi accompagna più di altre. Il “New York Times” ha condiviso i risultati di una inchiesta sull’attacco di Hamas ad Israele del 7 ottobre scorso, condotta con una serie di interviste ai sopravvissuti. Come già era in parte trapelato, è emerso un terribile pattern di violenze sessuali, mutilazioni genitali, accanimento brutale sulle donne. Ecco come il NYT nell’articolo del 28 dicembre riporta la testimonianza di Safir, una sopravvissuta di 24 anni: “La prima vittima (…) era una giovane donna con i capelli color rame, con il sangue che le scorreva lungo la schiena, e i pantaloni abbassati fino alle ginocchia. Un uomo l’ha tirata per i capelli e l’ha fatta piegare. Un altro l’ha penetrata e ogni volta che lei sussultava, le affondava un coltello nella schiena. (Safir, ndr) Ha detto di aver poi visto un’altra donna fatta a pezzi. Mentre un terrorista la violentava, un altro ha tirato fuori un taglierino e le ha tagliato il seno. Uno continuava a violentarla, e l’altro lanciava il suo seno a qualcun altro, e loro ci giocavano, lo lanciano e poi il seno cade sulla strada. Ha detto che gli uomini le hanno tagliato il viso. Ha visto altre tre donne violentate e terroristi che trasportavano le teste mozzate di altre tre donne”.
Sono tante altre le storie simili, di donne con vagine esposte trafitte da coltelli, di donne con le gambe divelte, bacini frantumati. (È partito pochi giorni fa dall’Italia l’appello online per dichiarare “femminicidio di massa” la strage del 7 ottobre, con il nome “Non si può restare in silenzio”).
Come si può violentare una donna e mentre lo si fa, tagliarle un seno e poi giocarci? Siamo tutti figli, e tutti nati dal corpo di donne. Dal loro seno viene il nostro nutrimento: è l’essenza stessa della vita. È inconcepibile, è qualcosa che va al di là di ogni umana comprensione. L’immagine di una donna mutilata del suo seno mentre uomini si accaniscono su di lei e la seviziano è una delle più orribili, che si aggiunge al lungo inventario delle atrocità umane. È un gesto che contiene al suo interno, allo stesso tempo, più bestialità: accanimento sul più debole, violenza di genere, deturpamento dei simboli universali di vita, maternità, femminilità, procreazione.
Ma forse è proprio qui che va ricercata la ragione di tanta brutalità: nel corpo delle donne. Non si perdona al corpo delle donne – in tante culture (o subculture) – il fatto di avere un ruolo da protagonista e un potere unico nello scenario più importante, che è quello della prosecuzione della vita, come non si accetta il fatto che le donne possano avere libertà di scelta nella sfera sessuale. Per queste ragioni insopportabili, vanno soggiogate, sottomesse, gestite. E al culmine della violenza e della perversione, il loro corpo diventa nemico, oggetto da fracassare, animale da umiliare e poi smembrare. Il seno che li ha allattati e a cui si sono aggrappati da bambini, un pezzo di carne da macellare, addirittura un pallone da calciare come l’ultimo dei rifiuti in terra.