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JANNIK SINNER, L’UNITÀ NAZIONALE E L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Jannik Sinner ha vinto la coppa agli Australian Open e tutti ci siamo sentiti felici e partecipi, investiti da quella magica onda di identificazione collettiva e sentimento di appartenenza nazionale che spesso lo sport – piaccia tanto o piaccia poco – è in grado di regalare. Gli italiani festeggiano l’italiano che vince, e ci mancherebbe.

Ma a ben guardare qualcosa stona, appare fuori posto, come un grido di giubilo sull’orlo di un precipizio. L’effetto straniante per alcuni italiani del Sud è quello di sentirsi pervasi dal gioioso sentimento di unità nazionale proprio nel momento in cui quella stessa nazione spiccona il terreno sotto i loro piedi, con il disegno di legge di attuazione dell’autonomia differenziata.

Festeggiamo l’italiano che vince, festeggiamo l’Italia – anche alle nostre latitudini, naturalmente – con inni, con tweet, saluti ufficiali, e chi se la perde l’occasione di un post per dire “bello, bravo”, sono italiano anche io; tocca vedere che italiano, però, da qui in poi. Fino ad oggi un italiano con “spesa storica” inferiore, un italiano che non sa cosa siano gli asili nido gratuiti, un italiano che deve accollarsi più spese o rinunciare al lavoro perché il tempo pieno alle scuole elementari dei suoi bambini è cosa rara. Un italiano che ha poca, pochissima dimestichezza con l’alta velocità. Tutto questo fino a ieri. Perché da un certo punto in poi, sarà un italiano in un Paese in cui l’autonomia differenziata delle regioni è realtà. L’elenco delle materie potenzialmente trasferibili alle regioni è molto lungo: si va dalla tutela della salute all’istruzione, passando per la tutela dell’ambiente, la gestione del demanio regionale e molto altro. Le risorse finanziarie per le nuove forme di autonomia sarebbero individuate attraverso compartecipazioni al gettito dei tributi erariali maturati nel territorio regionale. Tradotto: le tasse e le imposte generate in una regione restano in quella regione, e ciò determina automaticamente minori risorse a disposizione dello Stato, per una efficace ed equa redistribuzione.

Si affaccia lo spettro di una Italia senza perequazione, senza contrappesi, piena di distinzioni, squilibri sociali, con regioni predatorie e regioni da sfruttare, che offrono manodopera a basso costo, come se l’unica cosa che contasse è vincere la propria corsa per gonfiarsi di più, e non il miglioramento complessivo del Paese. Una Italia, insomma, non solo miope (se si impoverisce il Sud, sono guai per tutti), ma anche priva alla base di quel sentimento di unità nazionale, di quel senso di appartenenza ad un destino comune, che dovrebbero essere propri di un Paese unito da oltre centosessant’anni.

E invece, è un Paese da tanto tempo affetto da un disturbo borderline della personalità: unito sì, ma già tanto diverso al suo interno, e attraversato dalle continue e periodiche urgenze di attuazione delle “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” previste dal Titolo V della Costituzione, (riformato nel 2001), che al momento non sono affiancate da garanzie di riequilibri e di uno sviluppo armonico del Paese.

Bravo, Sinner. E chiuso il tennis, presto legheremo gli striscioni azzurri ai balconi in occasione degli Europei di calcio, e tiferemo Italia. Bella Italia. Forza Italia. Una, e indivisibile. Chissà in che senso e chissà per quanto.

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