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Da Adriano Celentano ai rapper di oggi, passando per Vasco Rossi: tutti gli schiaffi e le offese alle donne nelle canzoni italiane. Giusto censurare?

Sfera Ebbasta e Emis Killa – quest’ultimo esonerato dal capodanno romano per via della contestatissima canzone “3 messaggi in segreteria”, che è cronaca appassionata di stalking e femminicidio – non è che siano i pionieri in fatto di offese, atti persecutori e violenza ai danni delle donne nelle canzoni italiane.

A ben vedere, il panorama musicale italiano (ma non solo) degli ultimi decenni, specie se ci concentriamo su alcune canzoni maschie, dipinge un quadro ben preciso: la condizione mentale di uno psicopatico misogino.

Da “Uno schiaffo all’improvviso le mollai sul suo bel viso” di Celentano (in “Storia d’amore”) al “dosa bene amore e crudeltà” e “fuori dal letto nessuna pietà” di Ferrandini (in “Teorema”), a “Dove sei stata, cos’hai fatto mai?” di Battisti (“La canzone del sole”) fino a “ti seguo, ti curo, non mollo, lo giuro” di Pappalardo (“Ricominciamo”), e ancora si arriva a “Ho perso un’altra occasione buona stasera. È andata a casa con il negro, la troia” di Vasco Rossi (“Colpa di Alfredo”) per arrivare ad un classico, pregiudizio ossimorico che resiste ancora ai nostri giorni: il “Bella stronza” di Masini.

Ed eccolo qui il patriarcato nelle canzoni che si afferma e resiste nei decenni, si tramanda, si urla in piazza al Festivalbar, si canticchia sotto la doccia, perché siamo (eravamo?) tutti d’accordo: “prendila te quella col pisello” o “che fa carriera” (Vecchioni, “Voglio una donna”). E se abbiamo dubbi, possiamo pur sempre aggrapparci alla “gonna un po’ lunga” (Bennato, “Viva la mamma”) e alla visione stilnovista della donna-angelo, che pure abbonda nei testi delle canzoni, ma non è che la controparte della donna-troia vaschiana perché ha comunque l’effetto di ingabbiare il genere in una definizione e in un ruolo limitanti.

Ma veniamo ai nostri giorni. Oggi ci scandalizziamo se Emis Killa con una canzone asfittica, dal ritmo sempre più angosciante (se esperimento era, è ben riuscito perché il componimento del rapper comunica perfettamente le sensazioni di oppressione, follia, amore malato, violenza) racconta senza mezzi termini atti di stalking e un femminicidio? È giusto limitare l’arte? Ha senso oggi porre delle censure?

Censurare le forme artistiche non hai mai fatto bene a nessuno, per ovvi motivi (chi stabilisce i limiti e in base a quali criteri? Chi potrebbe mai controllare l’oceano di informazioni che si muove sui canali moderni?). E tuttavia, una riflessione va pur avviata. La canzone in questione (ma ce ne sono tante altre, di altri rapper, con offese e violenza) ha un milione e ottocentomila visualizzazioni su YouTube (aumenteranno in questi giorni) e basta leggere i commenti, per capire che sono anche le ragazze ad apprezzarla. Ecco l’ultima strofa: “Volevo abbassare le armi ora dovrò spararti/Non mi dire di calmarmi, è tardi stronza/Fanculo al senso di colpa, non ci saranno sbocchi/Voglio vedere la vita fuggire dai tuoi occhi/Io ci ho provato e tu mi hai detto no/E ora con quella cornetta ti ci strozzerò”. “La migliore canzone di sempre”, commenta Alessia; “tra le mie preferite”, dice Rebecca; “non è stata capita”, scrive Giulia.

E vogliamo anche ammetterlo che non riusciamo a capire perché non abbiamo più vent’anni. Ma le canzoni (come la letteratura, l’arte, il cinema, la televisione) sono lo specchio su cui si riflette il caleidoscopio dell’epoca. Le canzoni passate ci raccontavano che uno schiaffo era normale, che la gelosia era normale, perché nella realtà dei fatti così era. Se oggi nelle canzoni rap abbondano offese alle donne e il riferimento ad atti di violenza, non possiamo ignorare il segnale (“Hey troia vieni in camera con la tua amica porca” è l’incipit più famoso di Sfera Ebbasta, che poi continua con “‘Ste puttane del backstage sono luride, che simpaticone vogliono un cazzo”; chissà che fatica per comporre questi versi dai chiarissimi echi leopardiani). La questione è complessa e aperta, e mettere bavagli non conviene a nessuno. Ma nel caso specifico, dopo il polverone che si è sollevato, ha fatto bene il Comune di Ladispoli ad annullare il concerto di Killa: se quel che occorre è un cambiamento di sensibilità, qualche segnale bisognerà pure cominciare a darlo.

Le giovani generazioni apprezzano il ritmo, le rime, la trasgressione di rapper e trapper, e sono libere di farlo, ma vale la pena rimarcare che con testi simili si naturalizzano e si rendono orecchiabili forme di sopraffazione. Queste sì, davvero luride.

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