Dal “siamo l’esercito dei selfie” di Arisa di qualche anno fa, al siamo l’esercito dei “content creator” di oggi è stato un attimo. Dalla follia di fotografarsi ovunque (ora abbondantemente superata a beneficio di mini video tiktokabili), siamo ormai giunti all’era in cui moltitudini di professionisti, studenti, neet, disoccupati, mamme, padri, figli, cani e gatti, si definiscono “content creator” o “digital creator”, e non per capriccio o d’impeto: si definiscono tali proprio di mestiere.
Non hanno forse torto: chiunque componga un video, un testo, un post, un tweet, una foto instagrammabile, un meme, un gif, un pernacchio qualunque sui social o su altre piattaforma online può a pieno titolo definirsi un “content creator”.
Sul “creator” – benché la definizione mi paia un tantino iperbolica: a dire “creatore” mi viene in mente più uno scienziato, un medico che inventa qualcosa di nuovo, un Michelangelo, al massimo uno stilista trasgressivo, e non certo la nonna che instagramma la torta di compleanno o si tiktokka col nipote che balla, o il ragazzo che fa bottom flip con la bottiglietta d’acqua dicendo “ceeeerto”…- potremmo anche essere d’accordo, dato che siamo di larghe, l a r g h i s s i m e vedute. In fondo, ogni prodotto personale nuovo è, appunto, una creazione nuova. I guai, però, arrivano con il “content”.
Quali sono questi contenuti? Noi, della vecchia scuola, associamo la parola “contenuti” alla sua nobile progenitrice “nozioni”. E dunque pensiamo ai contenuti di storia, geografia, letteratura, filosofia. Oggi scopriamo invece che “contenuto” è da intendersi come participio passato di “contenere” e dunque: nessuna parentela nobile, ma solo una funzione pratica, che è quella di stare dentro ad un contenitore, ovvero il social network. Ecco perché tutto è un “content” e tutti siamo “content creator”. Ma c’è chi lo è di più, e chi lo fa meglio. Una volta si diceva “YouTubers”, ma è riduttivo; oggi le piattaforme sono tante, TikTok spiazza tutti, e poi c’è anche tutto il resto.
Epperò torniamo al dunque. Si stima che ci siano nel mondo oltre duecento milioni di sedicenti content creators, e la creator economy è in fortissima crescita. Riguardo ai famosi contenuti, ce ne sono dei più disparati. E in ogni caso, si tratta di attività che ricadono nella categoria dell’entertainment, o tutt’al più dell’infotainment. Davide Reineke è un tiktoker che è di diventato famoso durante la pandemia: non aveva nulla da fare e ha postato dei video in cui cerca di centrare la fessura del tostapane lanciando a distanza una fetta di pane (ha poi fatto l’upgrade con il lancio della bottiglietta d’acqua, e ceeerto). Ci sono, tra i più famosi, Khaby Lame, che fa smorfie guardando video altrui. C’è poi il mondo dei gamers, quello dell’estetica, quello degli sportivi. Ma c’è anche l’arte (Roberto Celestri), il fisco, la psicologia. Poi c’è Manuel Mercuri, l’inventore del POV (video con “point of view”), ma ammetto che i suoi video e la sua comicità sono al di sopra di ogni mio più pertinace sforzo di comprensione.
Stiamo però sempre parlando di creatori di contenuti digitali in vetta e che hanno di fatto sdoganato una nuova professione (poche settimane fa è nata l’Associazione Italiana Content & Digital Creators, capitanata da Lame, che chiede tutele per i professionisti del settore).
Cosa accade invece a latitudini più terrene? Accade che la nuova attività riscuote incredibile successo, perché è alla portata di tutti e perché aggiunge appeal a qualunque fisionomia professionale. È così che salumieri, economisti, parrucchieri, paleontologi si concepiscono e si presentano innanzitutto come content creators. È il vecchio fascino del marketing, combinato all’istinto moderno di forsennata ricerca della popolarità. E poi, vuoi mettere, dire sono impiegato o parrucchiere, con sono content creator? È un’altra storia, cari bro. Si tratta di stare al passo coi tempi e cavalcare l’onda. E infatti l’onda cresce: fioccano ovunque corsi e microcorsi per content creator a pagamento, dedicati ad aziende, liberi professionisti di ogni campo, a chi vuole fare autopromozione, a chi cerca una carriera personale sui social, ma anche a chi ha bisogno solo di un rapido lifting al proprio CV nell’era digitale.
Venite, venite. Sul palcoscenico digitale c’è posto pert tutti.