Intervista allo scrittore Maurizio De Giovanni: “Detesto quando i napoletani prendono le distanze da Napoli”

Maurizio De Giovanni – autore delle serie “Il commissario Ricciardi”, “I bastardi di Pizzofalcone”, “Mina Settembre”, “Sara” – in questo periodo è molto spesso in TV; sui quotidiani un giorno sì e l’altro pure. 

Penso che ci vorranno giorni, settimane forse, per questa intervista. E invece no, perché lui non è una star qualunque, è il nostro Maurizio nazionale, e mi risponde subito. “Mi chiami su WhatsApp”. Davvero posso chiamare proprio ora? “Sì, ora”.

Lei è lo scrittore più intervistato d’Italia, e adesso ha anche un incarico ufficiale per Napoli. La sua giornata è parecchio affollata?

Maurizio De Giovanni ride, di un sorriso spontaneo ma composto, alla Ricciardi. “Sì. Ma la mia occupazione principale è scrivere, inventare storie e devo trovare il tempo per farlo. Io però vivo in maniera molto interconnessa con la città e per questa ragione sono spesso chiamato per dare opinioni sugli argomenti più disparati. In generale, credo che ci voglia impegno in ciò che si fa, ma anche in ciò che si potrebbe fare”.  

Dice, caricando di forza il “potrebbe”, perché le cose da fare sono tante. E De Giovanni non si tira indietro, anzi. Non è solo uno scrittore di successo, ma anche un abile alfiere della cultura e della napoletanità.

Da scrittore e napoletano, cosa è che le dà più fastidio?

“Mi dà fastidio lo stereotipo sia negativo che positivo. Quando Napoli viene giudicata in maniera grossolana. Quando ci sono napoletani che vogliono scrollarsi di dosso Napoli. Se le forze positive si consociassero le cose migliorerebbero in maniera evidente. Invece alcuni coltivano il proprio orto e poi vanno lontano, prendono le distanze. Napoli è una città che dà tanto, ma ha anche bisogno di sentirsi restituire qualcosa”.

È un po’ come il complesso del provinciale, che si vergogna delle sue origini.

“Il problema è quando si isolano i ragionamenti. La nostra è una città stretta, e la più densamente popolata d’Europa. Non è possibile ragionare per singoli pezzi. Anche io quando parlo di Napoli, mi riferisco a tutto il territorio della città metropolitana. Non ha senso parlare solo di alcuni quartieri”.

È da poco stato nominato presidente del Premio Napoli. È la prima volta che riceve un incarico ‘politico’, in senso ampio. Si sente a suo agio?

“Devo dire da cittadino e operatore della cultura, che la fondazione è certamente storica ed importante, ma il Premio in sé mi interessa poco. Quello che mi interessa davvero è l’idea di creare una agenzia per lo sviluppo della lettura in città. L’idea della premiazione in sé, che rappresenta senza dubbio un pezzo di storia, è in qualche modo obsoleta. Mi dice che senso ha premiare dei libri in un territorio dove sono in pochissimi a leggere? È da qui che bisogna ripartire”.

Per il Premio Napoli, ci sono molte ambizioni; la prima, dichiarata, è quella di portarlo nelle scuole. Lei recentemente ha detto che Napoli è una città da terzo mondo in riferimento al grave problema della dispersione scolastica. Come si può recuperare una città da terzo mondo con la lettura?

“Si lavora di concerto con le istituzioni, deputati, senatori, sindaci. Con le scuole, insegnanti, presidi. Mettendo a disposizione i teatri, mettendo su spettacoli. Per il Premio mi piacerebbe una sezione dedicata agli adolescenti”.

I suoi romanzi sono stati transcodificati in film, recital e poi in fumetti. Non crede che la cultura in forma di parola scritta, specialmente per avvicinare i giovani, debba transcodificarsi di più?

“Io sono per la parola scritta, perché favorisce il potere dell’immaginazione. Ma oltre al lettering, ci sono anche i disegni e le immagini. Mi piacerebbe creare dei gruppi di ragazzi che si misurano a trascrivere sceneggiature da romanzi e a filmare corti con il loro cellulare. E poi ancora, a trasformarli in disegni, fumetti”. 

Purtroppo viviamo in un mondo dove dominano i video, domina la velocità.

“È vero, ma bisognerebbe insegnare la differenza tra un panino di McDonald’s, che ogni tanto va bene, e un pranzo in un ristorante slow, che è tutta un’altra cosa”.

Cosa possono fare le periferie per incentivare la cultura?

“Le città e le periferie possono ripartire dalle rassegne, con l’impegno delle istituzioni e ricercando il sostegno degli sponsor. Sul modello del festival di letteratura a Mantova ma anche a Pordenone, e a Suzzara. L’altra sera ero a Roma, per uno spettacolo sulle canzoni napoletane, con Marco Zurzolo, Mariarita Carfora. Al teatro c’erano seicento persone!”

Ora provo a fare una domanda che non le hanno mai fatto. Cosa c’è sul comodino di Maurizio De Giovanni?

“Sul comodino?”

Si, accanto al letto.

“Libri. Ci sono tanti libri, anche libri di amici. Le ultime opere di Roberto Costantini, Antonio Monda, Donato Carrisi…”

Che consiglio darebbe ad un amico che vuole fare lo scrittore?

“Due consigli. Innanzitutto di cambiare approccio, e cioè di avere prima una storia e dopo scrivere, non viceversa. E poi, quello di leggere. Tanto.”

 

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