Foto liberamente tratta da Google

WhatsApp e i nuovi canali: la pubblicità, i rischi e l’information overload

C’era un tempo in cui almeno su WhatsApp si stava tranquilli, e quel tempo è finito (finito nel senso di icona con le manine alzate, giusto per intenderci). Fino a poco tempo fa i social media stavano a WhatsApp come le serate in discoteca alle cene tranquille in casa di amici. Lì urla, rumore di fondo, sconosciuti dietro ogni angolo, algoritmi che rovinano la festa, messaggi non richiesti, sponsorizzazioni, sovraccarico di informazione (e disinformazione) e così via. Qui, nei più intimi lidi di WhatsApp, solo persone che hanno il tuo numero di telefono, nessun cookie in agguato (icona di biscotto e faccina con gli occhiali da sole), e nessun corpo estraneo. Ad un certo punto, sono arrivati gli “stati”, con facili incursioni di volantini promozionali, profumi, detersivi, ecc., poi le liste broadcast, con gli aggiornamenti video/foto, e già l’aria si è fatta più pesante, ma ancora ancora.

Da qualche giorno, però, sono arrivati i “canali WhatsApp” e gli “stati” sono divenuti degli “aggiornamenti” ad ampio spettro. C’era davvero bisogno dei canali (account di testate giornalistiche, mondo dello sport, influencer, cantanti, istituzioni, e – presto sempre di più -anche di sconosciuti in cerca di fama)? In un mondo in già pieno di social e, appunto, di aggiornamenti continui, non sarebbe stato meglio preservare WhatsApp come sistema di messaggistica? E questa domanda ne partorisce subito un’altra, cruciale: perché è stata fatta questa scelta? Il “Financial Times” aveva ipotizzato la ragione: il futuro inserimento di pubblicità nelle chat o negli stati/aggiornamenti allo scopo di monetizzare l’incredibile portafoglio di due miliardi di utenti attivi ogni mese, ma da Meta hanno già prontamente smentito.

Ovviamente l’iscrizione ai canali è facoltativa, e dunque per adesso se si sceglie di non attivarne alcuno, tutto funziona come prima. Ma vediamo un po’ cosa c’è in giro. Oltre al canale ufficiale WhatsApp, tra i più popolari con milioni di iscritti ci sono Netflix, Real Madrid, FC Barcelona, e poi attori, youtuber, ma anche canali di ministeri e parroci loquaci. La differenza con gli altri social è che nessuno saprà quali account stiamo seguendo. WhatsApp promette inoltre che a tutti gli utenti sarà data la possibilità di creare un proprio canale. Non è chiaro per ora il fine di tutta questa operazione, se non quello di garantire ai grandi player dei social un altro spazio di visibilità e magari, in futuro, di tassare (doverosa qui l’icona della faccina con i soldi al posto degli occhi; c’è una icona per tutte le nostre parole e i nostri pensieri, ormai) gli account più ghiotti.

Cosa c’è da aspettarsi? Beh, innanzitutto che tutti o quasi creino un proprio canale e presto lo promuovano con messaggi e broadcast, affollando ancora di più le nostre chat che un tempo navigavano tranquille. E che, come accade già per altre piattaforme, si trovino canali poco sicuri. Che ci sia una maggiore esposizione ai contenuti esterni e quindi maggiore distrazione, e che “l’apertura” social di WhatsApp ne sdogani ancora più  l’uso pubblicitario, di marketing. È inoltre un fatto che da oggi la popolare app non è più un luogo ‘chiuso’ per bambini e ragazzi, ma è aperta a qualunque tipo di contenuto esterno e dunque è da considerarsi a rischio (icona con triangolo e punto esclamativo, e ci metterei pure quella con il teschio e le ossa) esattamente come gli altri social. Dall’altro lato, però, l’introduzione di canali potrebbe aiutare a fare ordine sull’uso politico dello strumento. Non tutti sanno che gli account di partiti politici o di candidati politici che inviano messaggi WhatsApp agli utenti senza autorizzazione possono essere sospesi poiché la pratica non rientra nei termini di utilizzo, e ora il problema potrebbe essere sanato con la creazione di un apposito canale.

Quel che è certo è che si tratta di una rivoluzione, di cui tenere conto, e che è senza dubbio preludio di altro. Mark Zuckerberg non è un fesso (icona del divieto e poi del fesso; ah no, questa ancora non c’è…).

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